La lunga notte della comunicazione di crisi

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La pandemia rappresenta un caso di comunicazione di crisi inedita. Una crisi globale che si diffonde nella società più connessa e informata di sempre. Crea un vissuto condiviso, un immaginario concreto, crudo e immediato. Ci fa sentire davvero (per usare il più banale modo di dire) tutti sulla stessa barca, tutti uguali. Cercando di spostare l’attenzione dallo scenario sanitario, già oggetto di decine di analisi su scala giornaliera, è evidente come la pandemia sia occasione di studio e valutazione dell’apparato comunicativo nel suo complesso. Valutazione che continua ad essere a distanza di mesi – tranne poche eccezioni – un grande fallimento: la lunga notte della comunicazione di crisi.

È innegabile che la situazione di emergenza sia senza precedenti ed estremamente delicata, ma altrettanto evidente è come nel corso dei mesi la comunicazione di crisi abbia mostrato delle lacune enormi e pochissimi segni di miglioramento. La comunicazione di crisi ha dei principi chiari, tra cui: limitare le spokesperson (chi comunica), limitare le fughe di notizie, limitarsi a comunicazioni ufficiali e, direi ovviamente, stabilire una linea condivisa da seguire, essere chiari e non ingigantire o minimizzare. Chiudo gli occhi e ripercorro questi mesi, tra una fuga di notizie sul decreto X e gli scontri sui giornali tra Ministri è facile capire che pochi dei princìpi comunicativi sono stati seguiti.

Si tratta chiaramente di un’analisi complessa che richiederebbe uno studio qualitativo approfondito, dovendo tenere in considerazione una molteplicità di variabili: libertà di manifestazione del pensiero, diritto alla critica e pluralismo dell’informazione per citare le più rilevanti. Questo soprattutto per quanto riguarda l’informazione di secondo livello: giornali, programmi TV, inchieste. Lo scopo di questo blog post è, quindi, solo quello di analizzare alcuni dei temi rilevanti della gestione comunicativa dell’emergenza.

L’unità d’intenti

A stupirmi maggiormente dai primi giorni è stata la mancanza di comunicazioni ufficiali univoche. Se è comprensibile lo scontro tra Governo e opposizione, infatti, più volte non sono mancate anche le contraddizioni tra componenti del Governo stesso, tra un Ministro e un altro, o tra gli stessi componenti del CTS. Ecco che si presenta un conflitto tra le libertà citate in precedenza e l’unità d’intenti che lega i soggetti, in questo caso i componenti del Governo o dello stesso CTS. Nel perseguimento di un obiettivo comune è infatti naturale la presenza di opinioni differenti, ma anche lo sviluppo di una sintesi delle stesse opinioni che risulti in una visione condivisa.

Il conflitto tra espressione individuale e unità d’intenti è quindi un primo elemento rilevante. Che potrebbe essere esteso in realtà anche alle forze d’opposizione, visti i fini al di sopra di ogni bandiera politica – tutela della salute e tutela economica. Tuttavia questo tipo di analisi, come quella sulla situazione politico/sanitaria attuale e sul cosa si dovrebbe fare o sarebbe dovuto essere stato fatto, richiederebbe una competenza politica di cui non mi voglio appropriare.

Dove vacilla la credibilità

Conseguenza maggiore delle affermazioni contrastanti da parte di soggetti interni ai circuiti ufficiali è una continua messa in discussione della validità delle stesse affermazioni, come delle misure che ne derivano. Questo scenario contribuisce a creare confusione nel singolo individuo, per cui la chiarezza sulle informazioni da fonti ufficiali dovrebbe essere una solida base in un momento di emergenza.

Esempio banale: io sono favorevole alla riapertura degli stadi, Francesco no, ma d’accordo stabiliamo l’apertura per il 20% della capienza e con determinate condizioni. Se il giorno dopo rilascio un’intervista affermando che si sarebbe potuto aprire anche al 100% e Francesco che non si sarebbe dovuto aprire affatto, l’accordo raggiunto e la posizione presa perdono completamente credibilità e significato, generando un contrasto nella singola comunicazione di crisi.

DISCLAIMER: Sia chiaro, con questo non intendo dire che debbano mancare i dibattiti, i punti di vista differenti, la possibilità per ognuno di sviluppare una propria posizione sulla base dei dati oggettivi e delle varie posizioni in cui ci si rispecchia. Il principio che intendo evidenziare è la necessità di avere, quantomeno in sede di dichiarazione pubblica, una posizione condivisa.

E dove inizia l’overload mediatico

È abbastanza chiaro come già alla fonte della comunicazione di crisi che stiamo vivendo manchi e sia mancata chiarezza e il giusto impianto strategico. Il rifugio nell’effetto sorpresa, valido e comprensibile nel primo periodo, non è più sufficiente dopo 8 mesi a spiegare tale lacuna. L’effetto domino comunicativo descritto, insieme alla società dell’informazione in cui viviamo, ha creato e crea infatti il perfetto contesto per l’overload mediatico. L’escalation pandemica primaverile e l’effettiva situazione di emergenza mai vissuta dalla popolazione, ha creato una continua e tormentata domanda di notizie, del prossimo provvedimento restrittivo, il prossimo DPCM. Un nuovo appuntamento fisso con il bollettino del giorno.

Nella prima fase, così come ora (un po’ meno durante i mesi estivi), la paura e l’ansia innescano nelle persone la fame di news. e la paura di perderle, tra la speranza di dati positivi e la conscia aspettativa di dati negativi e quindi conseguenze sul piano delle libertà individuali. La domanda è quindi alta, l’offerta altissima. Mi sono promesso di limitare l’utilizzo dei termini bellici (che, diciamolo pure, hanno un po’ stancato) ma in questo caso è corretto e non forzato parlare di un continuo bombardamento mediatico, in cui anche le non-notizie diventano notizie e pretesti per cui gridare, rigorosamente in caps lock, all’+++ ULTIM’ORA +++. Basti pensare alla non-notizia sul volontario coinvolto nella sperimentazione del vaccino AstraZeneca, morto in Brasile, e il piccolo particolare che non aveva ricevuto il vaccino (leggi su questo topic il post di Luca Sofri). Oppure a come per creare il titolo più clickbait si cambi da un giorno all’altro il modo in cui vengono comunicati i dati (es. di seguito, usare i decessi totali anziché quelli nelle ultime 24 ore, oppure comunicare i nuovi positivi senza correlare il numero di tamponi).

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ANSA 22-10-2020

Ogni giorno una grande parte del prime time e dei palinsesti TV in generale, così come dei siti di informazione, è dedicata alla pandemia. Il dibattito è costante e a tratti asfissiante.

DISCLAIMER: Sia chiaro, con questo non intendo dire che debbano mancare i dibattiti, i punti di vista differenti, la possibilità per ognuno di sviluppare una propria posizione sulla base dei dati oggettivi e delle varie posizioni in cui ci si rispecchia.

Il problema che riscontro è nella qualità del dibattito. Non sono un grande utente TV ma sono abbastanza ansioso, quindi mi trovo a volte a seguire dibattiti e programmi TV. Molto spesso le posizioni di chi parla sono identiche a mesi fa, che si parli di tecnici, politici, personaggi pubblici intervistati un po’ a caso – a parte la signora di Mondello che ha cambiato idea e deciso che ce n’è. Le contraddizioni le stesse, lo scaricabarile lo stesso, le accuse reciproche le stesse.

Magari la risposta è sì, ma mi chiedo: ha senso inondare i palinsesti con ore e ore di programmi in cui ruotano da una rete all’altra gli stessi personaggi, replicando gli stessi dibattiti, senza effettivamente portare nuovi contenuti? Non sarebbe più efficace, per il pubblico, focalizzare i dibattiti al momento in cui ci sono notizie effettive (es. nuovo decreto). L’attenzione non è infinita, a forza di non essere ripagata da un contenuto rilevante, finisce. L’ultimo elemento che voglio menzionare è infatti quello psicologico. Dopo mesi di overload e emergency meeting, contraddizioni, provvedimenti a distanza di 24 ore l’uno dall’altro, le persone rischiano di non essere più ricettive, anche rispetto al messaggio più urgente e reale (qui approfondimento del NY Times sulla Pandemic Fatigue, articolo in inglese).

Gli arcobaleni alle finestre sono finiti, l’appuntamento in balcone per l’inno nazionale e il “CE LA FAREMOOO” sono un ricordo. In questo contesto l’informazione forzata, che non informa, rischia di diventare controproducente, di allontanare le persone anziché sensibilizzarle e coinvolgerle. In un momento di emergenza crescente, è importante riportare la comunicazione a un focus su cosa fare concretamente e cosa si sta facendo, spostando solo leggermente in secondo piano il dibattito su come ci si sia arrivati, sulle responsabilità e sui problemi – che ripeto ancora essere fondamentale.

Se ne usciremo, ne usciremo stremati

E torniamo al punto di partenza. Alla necessità di una comunicazione che dall’alto sia essenziale e pulita. A una chiamata alla responsabilità mediatica per non allarmare o sminuire, ma informare e fornire elementi per la costruzione di un pensiero, a non cadere nel clickbait con 200 articoli al giorno pieni zeppi della keyword C-19. Per dare vita a scambi di opinione sensati e a fuoco, non fatti con il solo proposito di dibattere sulla pandemia. Una pandemia che ci darà molti elementi da studiare e da migliorare, per uscire dalla lunga notte della comunicazione di crisi.

Non so se ne usciremo migliori (dubito), ma ne usciremo sicuramente socialmente e psicologicamente cambiati, con una percezione di futuro e socialità sensibilmente differenti. Uno stress così forte, nuovo e prolungato, non potrà che avere strascichi psicologici molto forti, che in questo momento ho la percezione essere in secondo piano o sottovalutati. Non so se ne usciremo migliori, non so se ne usciremo. Nel caso, ne usciremo stremati.

 




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