Da qualche tempo le compagnie telefoniche low cost sono al centro del dibattito anche in Italia. Tutto è partito con Iliad, azienda francese caratterizzata proprio dalle basse tariffe e dalla grande quantità di traffico internet offerta. Sono tante, nelle ultime settimane, le discussioni sull’efficacia e sulla qualità del servizio offerto da Iliad, ma in seguito a queste ho trovato molto interessante osservare la risposta del mercato italiano a questa new entry.
Sono utente Fastweb dallo scorso anno, quando è stata lanciata la campagna trasparenza “Niente Come Prima”, e anche perché essendo già cliente linea fissa, la tariffa mobile è molto vantaggiosa. Fastweb non ha reagito all’arrivo di Iliad in Italia, ma altre compagnie si, lanciando dei veri e propri second brand: Vodafone e TIM sono infatti rispettivamente le aziende dietro Ho. e KENA.
I punti di forza sottolineati sono la novità delle aziende, che porta con sé una reputazione impossibile da percepire negativamente, e soprattutto delle tariffe estremamente vantaggiose. Non è però esplicito il collegamento, navigando nei siti delle due aziende, alle compagnie da cui derivano.
La scelta di TIM e Vodafone di lanciare KENA e Ho. non è però riconducibile alla sola convenienza economica. La scelta secondo me è dovuta anche alla volontà di creare brand che permettano un riposizionamento, un distacco generazionale, per utenti sempre meno attenti alle tradizionali telefonate e messaggi, sempre più assetati di dati per la navigazione web e social da smartphone. Io, per primo, mi riconosco in questo bisogno, nonostante la mia adolescenza sia stata caratterizzata molto più dall’utilizzo del computer, tanto è che utilizzo lo smartphone solo per svago, e scelgo il computer per le “cose serie”. Ma capisco la necessità di dati dovuta, ad esempio, all’utilizzo di servizi come Spotify da mobile per un paio d’ore ogni giorno.
La strategia di Ho. e KENA è quindi in modo abbastanza evidente quella di cercare di attrarre questa fetta di mercato e “rubarla” ai brand più tradizionali, ovvero quelli di proprietà Vodafone e TIM, ma anche chi ha scelto di rimanere fedele alla propria identità e non snaturarsi per cercare di ottenere nuovi consensi, come Wind Tre. Il problema, come già accennato, è da trovare nella mancanza di trasparenza da parte di TIM e Vodafone, i cui clienti pagheranno di più per un servizio meno vantaggioso di quello offerto dal second brand rispettivo.
La liberalizzazione del mercato telefonico rende il panorama italiano molto complesso e diversificato. Questo è assolutamente un bene, perché la concorrenza è ciò che può portare di più i consumatori ad ottenere il prodotto che desiderano al prezzo migliore per le loro necessità. Il problema nasce quando manca onestà nei confronti del consumatore, che crede nei casi descritti sopra di diventare cliente di nuove compagnie, che tanto nuove poi non sono.
I second brand non sono nati oggi, non sono una scoperta, e non sono necessariamente il male: l’importante è che siano chiaramente riconducibili a quelli da cui derivano. A una mancanza di chiarezza, insomma, preferisco chi sceglie di restare sé stesso e magari migliorare il servizio già esistente piuttosto che crearne uno nuovo, come Wind Tre. Va bene creare un servizio distinto e anche migliore, con un prezzo accessibile, quello che non va bene è la mancanza di trasparenza verso i clienti precedenti, che non sanno di poter avere un servizio migliore ad un prezzo addirittura inferiore.
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